La disciplina relativa agli animali domestici in caso di separazione coniugale è stata oggetto di svariate pronunce giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità.
Prima di addentrarsi più specificatamente nell’argomento trattato dal presente articolo, si premette un sintetico excursus sulla giurisprudenza di legittimità in merito alla rilevanza degli animali nel rapporto con l’uomo ed, in particolare, sulla risarcibilità del danno in caso di loro uccisione e/o perdita per fatto altrui.
La Suprema Corte di Cassazione si è occupata in maniera significativa della rilevanza degli animali, con particolare riguardo a quelli definiti “da affezione” o “da compagnia”, ponendo perciò l’attenzione sugli animali intesi quali “esseri” in se stessi, ma solo se ed in quanto posti in relazione con l’essere umano, che dalla loro vicinanza ricavi benessere affettivo e compagnia.
La sentenza di Cassazione n. 14846 del 27 luglio 2007, nel decidere su una domanda di risarcimento del danno esistenziale derivante dalla morte di un animale cui il padrone era affettivamente legato (un cavallo), affermò che “la perdita del cavallo in questione, come animale da affezione, non sembra riconducibile sotto una fattispecie di un danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente protetta”. Di qui la negazione della risarcibilità del danno non patrimoniale da uccisione/perdita dell’animale da affezione, causata da un fatto lesivo di terzo.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con le sentenze n. 26972, n. 26973, n. 26974, n. 26975 dell’11 novembre 2008 (definite “di San Martino”), dopo aver accomunato situazioni molto diverse tra loro, quali, da un lato, il danno da “morte dell’animale da affezione” o da “maltrattamento di animali”, e dall’altro, il danno derivante dalla rottura del tacco della sposa o dal mancato godimento della partita di calcio in televisione ed aver etichettato onnicomprensivamente dette fattispecie come “fantasiose ed a volte risibili”, hanno affermato, ponendosi in continuità con il precedente orientamento, che il rapporto fra l’uomo e l’animale è “privo, nell’attuale assetto dell’ordinamento, di copertura costituzionale”, cosicché non sarebbe dovuto alcun risarcimento del danno da morte dell’animale d’affezione.
Nei casi summenzionati, si è sempre deciso o comunque ci si è riferiti a domande risarcitorie di proprietari di animali da compagnia per la perdita della relazione affettiva con l’animale cagionata dal fatto lesivo altrui. Ciò che quindi veniva in questione era l’animale quale elemento o per meglio dire quale “oggetto” della sua relazione con l’uomo, una relazione per di più sprovvista di qualsivoglia valenza meritevole di protezione a livello costituzionale, tanto da non dar neppure luogo, ove perduta dall’uomo, al risarcimento del relativo danno. Dette pronunce hanno tutte negato quindi la sussistenza di un “diritto all’animale d’affezione” meritevole di tutela risarcitoria, affermando la natura bagatellare del danno da perdita dell’animale da compagnia.
Proseguendo nella disamina della giurisprudenza in materia, si rinvengono, in epoca più recente rispetto alle decisioni di legittimità sopra richiamate, alcune decisioni di corti di merito molto significative.
La prima meritevole di menzione è la sentenza del 7 dicembre 2011, emessa dal Tribunale di Varese, che ha affermato che “il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia; diritto che, quindi, va riconosciuto anche in capo all’anziano soggetto vulnerabile dove, ad esempio, tale soggetto esprima, fortemente, la voglia e il desiderio di continuare a poter frequentare il proprio cane anche dopo il ricovero in struttura sanitaria assistenziale. Il giudice tutelare deve garantire la tutela e il riconoscimento del rapporto tra l’anziano e l’animale”. Ed ancora afferma che “deve oggi ritenersi che il sentimento per gli animali costituisca un valore e un interesse a copertura costituzionale: secondo gli scritti della manualistica penale classica, solo gli interessi a copertura costituzionale giustificano la tutela penale e, nel caso di specie, proprio a tutela del sentimento per gli animali, il Legislatore, nel 2004, ha introdotto i delitti di cui agli artt. 544 bis – 544 sexies c.p., così dovendosi ritenere che, in base all’evoluzione della coscienza sociale e dei costumi, il Parlamento abbia ritenuto che un tale sentimento costituisse oramai un interesse da trarsi dal tessuto connettivo della Charta Chartarum, in particolare dalla previsione sempre-viva dell’art. 2, aperto al soggiorno dei valori man mano riconosciuti, nel tempo, dalla Società, come diritti inviolabili (anche se ‘inespressi’)”.
L’importanza della citata decisione risiede nel fatto che il Tribunale di Varese, ponendosi in contrasto con quanto precedentemente affermato dalla Suprema Corte, ha riconosciuto, per la prima volta, la sussistenza dell’interesse alla frequentazione dell’animale domestico, così diventando un “diritto soggettivo all’animale da compagnia” meritevole di tutela a livello costituzionale.
Venendo allo specifico argomento oggetto del presente articolo, si registrano vari provvedimenti che hanno affrontato il tema della sorte dell’animale da affezione in caso di separazione tra coniugi.
Tra le altre, si richiama una recente ordinanza resa dal Presidente del Tribunale di Foggia che ha statuito che il giudice della separazione possa disporre, in sede di provvedimenti interinali, analogalmente con quanto accade per i figli minori, l’affidamento dell’animale d’affezione, già convivente con la coppia, ad uno dei coniugi, con l’obbligo di averne cura, contestualmente statuendo a favore dell’altro coniuge, ancorché proprietario, il diritto di prenderlo e tenerlo con sé per alcune ore nel corso di ogni giorno. Nel caso di specie, il cane è stato affidato “al coniuge ritenuto maggiormente idoneo ad assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale”, a prescindere dalla relativa proprietà.
Anche per il Tribunale di Modena il Giudice è tenuto ad omologare il verbale di separazione consensuale fra i coniugi con cui si convenga, oltre all’affido condiviso dei figli minori e l’assegnazione dell’abitazione familiare al genitore collocatario, che il cane di famiglia vi resti fino a quando i figli convivranno con il genitore, stabilendo a carico dell’altro genitore un contributo economico per mantenere l’animale, contributo che pertanto andrà a sommarsi a quello disposto in favore dei figli.
In un altro caso di separazione consensuale, il Tribunale di Cremona ha disposto la gestione condivisa dell’animale, dividendo al 50% tra i coniugi le spese per il relativo mantenimento.
Il Tribunale di Milano, con decreto del 13 marzo 2013, dopo aver acclarato che “nell’attuale ordinamento – anche in conseguenza dell’entrata in vigore della Legge 4 novembre 2010, n. 201, di ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987 – il sentimento per gli animali ha protezione costituzionale e riconoscimento europeo cosicché deve essere riconosciuto un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia (Trib. Varese 7 dicembre 2011, decreto)”, afferma che “una interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, impone di ritenere che l’animale non possa essere più collocato nell’area semantica concettuale delle “cose”, … ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”. Viene quindi riconosciuta legittima la facoltà dei coniugi di regolare la permanenza dell’animale presso l’una o l’altra abitazione e/o le modalità da seguire per il suo mantenimento.
Il provvedimento da ultimo menzionato pone quindi a base dell’omologa delle condizioni di separazione consensuale una mutata concezione dell’animale, frutto dell’evoluzione registratasi a livello di normazione europea e che fa leva sulla natura di “essere senziente” dello stesso, e cioè di creatura capace di “provare emozioni” ed in particolar modo di avvertire “sofferenza” non solo fisica ma anche psichica.
È peraltro interessante notare come nessun giudice dia rilievo all’iscrizione dell’animale domestico all’anagrafe competente. L’animale da compagnia quindi non dovrà intendersi, neppure per le decisioni che lo parificano ad una “cosa”, quale “bene mobile registrato”, poiché, sebbene intestato ad un membro della famiglia, ben potrebbe aver sviluppato una relazione affettiva particolare con un altro familiare. Peraltro, è da rilevare come, ad esempio, l’anagrafe canina non disponga alcun controllo in merito alla veridicità di quanto affermato dal richiedente in sede di iscrizione.
Discorso diverso vale nei casi di separazione giudiziale (e quindi in mancanza di un accordo tra i coniugi): sempre il Foro di Milano, con ordinanza del 2 marzo 2011, ha dichiarato inammissibile, in sede di separazione giudiziale, la domanda volta all’assegnazione di animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, per il fatto che l’ordinamento italiano non prevede normativamente ancora nulla circa la possibilità di affidare gli animali domestici, “né essendo compito del giudice della separazione quello di regolare i diritti delle parti sugli animali di casa”.
Di sicuro rilievo è, altresì, il provvedimento reso dal Tribunale di Como in data 3 febbraio 2016 che, in sede di omologa della separazione coniugale, testualmente ha affermato che “le condizioni relative alla suddivisione delle spese di mantenimento e di cura del cane rivestono un indubbio contenuto economico, al pari di qualunque altra spesa relativa a beni o servizi di interesse familiare, né contrastano con alcuna norma cogente, talché nulla quaestio circa il loro inserimento nella presente sede e conseguente omologa; quanto alle condizioni relative agli altri aspetti del rapporto con l’animale, esse (ricalcando impropriamente sul piano terminologico le clausole generalmente adottate in tema di affidamento, collocazione e protocollo di visita dei figli minori, il che a questo giudice pare una caduta di stile sul piano culturale) di fatto si preoccupano di assicurare a ciascuno dei comproprietari la frequentazione con l’animale (in via alternata) e la responsabilità sullo stesso; trattandosi di animale di affezione e/o di compagnia (secondo la definizione di cui alla Convenzione di Strasburgo 13.11.1987 e alla legge R. Lombardia 20.7.2006), non v’è dubbio che dette questioni, al di là della impropria assimilazione alla relazione genitoriale sul piano lessicale, rivestano un particolare interesse per i coniugi, interesse che, nella materia negoziale, per risultare meritevole di tutela, non si esaurisce nella sola sfera patrimoniale, siccome previsto dall’art. 1174 c.c.; come già ritenuto dalla giurisprudenza di merito (Trib. Milano 2.3.2011, ord.), in caso di contrasto tra le parti il giudice della separazione non è tenuto ad occuparsi della assegnazione degli animali di affezione all’uno o all’altro dei coniugi, né della loro relazione con gli stessi, (almeno sinora, ovvero de iure condito, essendo pur sempre possibile in via de iure condendo, data la fantasia del legislatore, una estensione in tal senso dell’oggetto dei procedimenti di famiglia, come evincesi dal disegno di legge 3231 della XVI legislatura, che prevede di introdurre l’art. 455 ter c.c. “affido di animali familiari in caso di separazione dei coniugi” con previsione anche della audizione di esperti del comportamento animale); per contro nella presente sede, in presenza di accordi liberamente assunti dai coniugi, non vi è luogo a provvedere circa il merito di dette questioni ma solo a verificare la sussistenza dei presupposti della omologazione come sopra richiamati; a tal fine, pur invitandosi le parti, per il futuro (per es. in caso di divorzio o modifica delle condizioni di separazione) a regolare altrimenti, ovvero con impegni stragiudiziali, le sorti del loro animale domestico, devesi rilevare che i presenti accordi, anche nella parte in cui concernono interessi a contenuto non economico, non urtano con alcuna norma cogente, né con principi di ordine pubblico“.
Concludendo, si può affermare che se da un lato parrebbe non sussistere alcun dubbio a livello giurisprudenziale circa la piena ammissibilità degli accordi intervenuti tra i coniugi circa l’affidamento, il mantenimento e la cura dell’animale domestico in sede di separazione consensuale, dall’altro, nell’ambito della separazione giudiziale, sembrerebbe negarsi al Giudice il potere di decidere in materia in assenza di una specifica intesa tra i coniugi.
Mancando ad oggi una disposizione normativa che disciplini l’affidamento dell’animale da compagnia in caso di separazione personale fra i coniugi e non rilevando a tali fini l’iscrizione all’anagrafe competente, la questione è, per il momento, rimessa all’apprezzamento ed alla discrezionalità del singolo giudicante.
Articolo redatto a cura dell’Avv. Luca Rufino
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