La successione dello Stato è prevista nel nostro ordinamento dall’art. 586 del codice civile.
La predetta norma stabilisce la devoluzione dell’eredità allo Stato qualora non vi siano altri successibili.
Presupposto per la sua operatività è, pertanto, la mancanza di un testamento e l’assenza di chiamati entro il 6° grado, ex art. 572, secondo comma, c.c., per titolo familiare. Ulteriore requisito è che il defunto sia cittadino italiano o apolide residente in Italia.
L’assenza di chiamati per titolo familiare potrà verificarsi sia quando i medesimi manchino ab origine, sia quando la loro vocazione venga a cadere per indegnità, rinuncia o prescrizione del diritto di accettare.
Per quanto riguarda, in particolare, la rinuncia all’eredità (art. 525 c.c.), è previsto che la stessa possa essere revocata fino a che l’eredità non sia stata acquisita da altri chiamati (tra cui non rientrerebbe lo Stato in quanto sprovvisto dei poteri ex art. 460 c.c., nonché della facoltà di accettare l’eredità). Conseguentemente, in caso di rinuncia e di mancanza di altri successibili, lo Stato potrà acquistare l’eredità solo qualora il diritto di accettare da parte del rinunciante si sia prescritto.
L’acquisto da parte dello Stato avviene in modo automatico, opera di diritto e senza bisogno di accettazione.
Tale acquisto si caratterizza per essere irrinunciabile e per la limitazione di responsabilità, per i debiti ereditari e per i legati, entro il valore dei beni acquistati anche in assenza di inventario.
Per quanto concerne la natura giuridica della successione dello Stato, la dottrina più recente ritiene che lo Stato sia un successore in senso tecnico, ossia un acquirente a titolo derivativo. Poiché oggetto dell’acquisto è l’eredità intesa come universitas, si ritiene altresì che lo Stato assuma il titolo di erede a titolo universale. Si parla in proposito di erede necessario.
Articolo redatto a cura dell’Avv. Luca Rufino
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