L’assegno di divorzio, ai sensi dell’art. 5 l. div., ha una funzione assistenziale e perequativo-compensativa.

Viene riconosciuto al coniuge che non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

Le funzioni dell’assegno, così come in estrema sintesi sopradescritte, sono frutto di un lungo percorso interpretativo svolto dalla giurisprudenza, definitivamente stabilizzatosi a seguito della pronuncia n. 18287 resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2018.

Con l’indicata pronuncia, sono stati meglio definiti quali accertamenti il giudice debba eseguire per decidere in merito alla spettanza o meno dell’assegno di divorzio.

In prima battuta è indispensabile effettuare una comparazione delle condizioni economiche dei coniugi.

Successivamente, tenendo conto anche dell’età del richiedente, bisognerà verificare se effettivamente il medesimo sia privo di mezzi adeguati e/o sia impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive.

Si debbono, altresì, accertare le cause della sperequazione tra i coniugi, verificare il contributo apportato dal richiedente al nucleo familiare, avendo riguardo all’eventuale sacrificio professionale sopportato dal richiedente per contribuire alla cura della famiglia, così come alla durata del vincolo matrimoniale.

L’art. 12 della l. div. stabilisce, inoltre, il diritto del coniuge cui spetta l’assegno di mantenimento a percepire una quota del T.F.R. spettante all’ex, nei casi in cui lo stesso venga corrisposto dopo la proposizione della domanda di divorzio.

Il fondamento del diritto in questione è il medesimo su cui poggia il riconoscimento dell’assegno divorzile: finalità assistenziale e perequativo-compensativa.

Il fine di tale previsione, secondo giurisprudenza consolidata, è quello di attuare una partecipazione, anche se posticipata, alle fortune economiche costruite dai coniugi finché il matrimonio è durato, ovvero di realizzare la ripartizione tra i coniugi di un’entità economica maturata nel corso del rapporto di lavoro e del matrimonio.

Se la retribuzione differita restasse a totale beneficio del soggetto cui è erogata, si riproporrebbe il rischio di uno sbilanciamento ingiustificato tra le posizioni patrimoniali dei coniugi, quando l’incremento reddituale è stato maturato in costanza di matrimonio ma divenuto esigibile solo dopo lo scioglimento dello stesso.

Da ciò deriva il diritto per il coniuge cui spetta l’assegno di divorzio, di vedersi corrisposta una quota del T.F.R., limitatamente agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

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